
Sappiamo dalla catechesi (parola di origine greca, che significa “istruire a viva voce”) che Dio è uno e trino. Si tratta di un dogma basilare per tutti i cristiani. Significa che Padre, Figlio e Spirito Santo Paraclito (consolatore) formano una sola trinità: quella che governa l’universo accogliendo tutti i puri di cuore e quanti vivono nel segno della Croce di Cristo. Un assunto non dimostrabile, certo, con l’ausilio delle realtà conosciute, ma che si impone in quanti sono credenti. Va da sé che per esserlo bisogna essere predisposti, seguire la disciplina morale e spirituale che deriva dal dettato della Chiesa, credere nella resurrezione e nella vita eterna (dopo la morte del corpo). A coloro che domandavano a sir Bertrand Russel, uno dei principali filosofi del ‘900, ateo convinto, quale fosse lo scopo della filosofia, l’intellettuale inglese rispondeva serafico: “non serve a trovare risposte ma a saper porre le domande, il che è la prima condizione per trovarle”. La filosofia è una terra di mezzo tra la religione e la scienza con la prima che si trova nell’orbita di coloro che credono nelle cosiddette “verità rivelate”, senza il bisogno di prove e certezze, e la seconda che agisce in quello spazio in cui si crede solo ed unicamente nell’empirismo. Avendo chiara questa distinzione gli uomini possono scegliere di credere o meno comprendendo però i motivi delle loro scelte. Ora, da uomo di scienza che ha scelto di credere, obietto che la scienza ha certezze limitate e che, presunzione a parte, non sempre queste restano tali nei secoli, né spiegano adeguatamente e completamente le realtà e le evidenze che la caratterizzano. La politica come scienza sociale ed economica, presupposto per governare la diversità e la complessità del contesto umano, discende sia dalla scienza (per la parte storica ed economica), sia dalla filosofia perché si presta a congetture e progetti supposti necessari e garantiti. Per fare un esempio: si possono prendere le tesi socio economiche del marxismo e della società degli uguali (immaginata perfetta) che quella stessa dottrina postula. Ebbene: in quasi un secolo di applicazioni dell’ideologia comunista, basata sulle certezze dello storicismo, ossia sulla capacità di riuscire a prevedere lo sbocco degli eventi, gli esiti raggiunti sono stati quasi diametralmente opposti. Tragedie umane, privazione della libertà e dei diritti individuali, scarso soddisfacimento dei beni materiali e di quelli personali, sono stati ampiamente documentati insieme al fallimento della “società degli eguali” che, al contrario, alla prova dei fatti, si è dimostrata un più che rispettabile inferno. Lo stesso dicasi per il capitalismo che per raggiungere la massima e libera diffusione dei beni di consumo, delle libertà e dei diritti umani, ha attraversato violenti periodo di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, anteponendo l’interesse economico ai principi di equità e solidarietà. Questo per dire che in politica spesso i presupposti non sempre sono realizzabili ancorché le ideologie di riferimento li diano assiomaticamente raggiungibili. Da questa precarietà dei risultati si può assumere che la politica è ancora nella terra di mezzo della filosofia. Di sicuro ben lontana dalle certezze della scienza.
I partiti sono espressione di questa indeterminatezza e del presupposto che le ricette di governo della società sono ancora oggetto di discussione e verifica. I vecchi movimenti di un tempo, confidavano nelle ideologie, forme fideistiche in campo laico ed aconfessionale. Quelli di oggi invece hanno cancellato sia le ideologie, sia le idee, affidandosi alla personalizzazione dei medesimi con vere e proprie “ditte” che offrono prodotti garantiti dalle capacità e dal carisma dei loro leader. In questo contesto non dovrebbe fare più scalpore l’incessante costruzione di nuovi progetti politici larvatamente orientati da distinguo socio economico o da idee e valori costituenti e specifici. Destra, sinistra, centro, socialismo, liberalismo, sono ormai ridotti a scarno punto di riferimento culturale se non a vere e proprie réclame buone solo per il mercato elettorale. Quando per stato di necessità personale, elettorale, parlamentare ed economico finanziario, Matteo Renzi e Carlo Calenda scelsero di unire i loro rispettivi partiti (Azione e Italia Viva) si ebbe subito l’idea che l’etichetta liberal democratica fosse più una buona intenzione che un programma. Che con due galletti nell’unico pollaio, la stabilità e la durata dell’intesa sarebbero state ardue da raggiungere. Così la nascita del cosiddetto “terzo polo”, equidistante tra centrodestra e centrosinistra, avrebbe avuto scarse possibilità di trasformarsi in un partito unico. Il troppo narcisismo e la supponenza dei due personaggi si sono rivelati, infatti, uno scoglio quasi insormontabile. Morale della favola: sono bastati pochi mesi per veder naufragare l’ambito progetto. Che dire? Le due anime non si sono fuse e la smania di dettar legge l’ha fatta da padrone! Il sospetto è che non potendo continuare ad essere uno non diventarono mai trini.
Forse volevano solo quattrini!!