12023Apr
Nel blu dipinto di blu

È’ molto vecchia, oltre ad essere molto nota, la canzone “Nel blu dipinto di blu” che Domenico Modugno presentò al Festival di Sanremo nel lontano 1958. Un pezzo che ha venduto negli anni, circa 70 milioni di dischi in tutto il mondo! Un brano conosciuto e ricordato nei decenni successivi non tanto per il titolo, quanto per il ritornello: “Volare, oh oh”. Non si può certo dire che a ottenere un simile successo sia stata la compagnia di bandiere della nostra aeronautica civile: l’Alitalia, posta in liquidazione dallo Stato dopo anni di vera fibrillazione. Una vicenda tristemente nota quanto usuale, nella lunga storia dello sperpero del danaro dei contribuenti da parte dello Stato imprenditore fallimentare, che accolla ineffabile le perdite di gestione delle imprese di sua proprietà allo stratosferico debito pubblico del Belpaese. Gli aiuti, sotto forma di rifinanziamenti, che il ministero dell’Economia ha reso disponibili negli anni per il salvataggio della compagnia, ammontano a diverse centinaia milioni di euro. Una mole enorme di quattrini, spesa pur di tenere in piedi sia la compagnia di bandiera che una vasta pletora di dipendenti strapagati e pensionati in tenera età. Messa in quiescenza Alitalia il suo posto è stato preso da ITA Airwais che ne ha rilevato il parco aerei, le rotte privilegiate e buona parte del personale, lasciando all’appparato centrale la desolante condizione debitoria. A quanto pare la vicenda del vecchio “carrozzone” non ha finito di produrre perdite per gli italiani: lo afferma una tardiva, forse finanche beffarda, sentenza emessa dalla commissione europea sulla concorrenza che condanna ed obbliga lo Stato italiano a recuperare la somma di ben 400 milioni di euro che furono “prestati” dallo stesso alla compagnia per trarla dal sicuro crack.

Tuttavia le cose finiranno nel più classico dei “tarallucci e vino”. Alitalia, infatti, è stata posta in liquidazione, sostituita da ITA Airways la quale essendo una nuova e diversa società, non avrà alcun obbligo di risarcire all’erario un debito fatto da chi l’ha preceduta. Un paradosso secondo il quale lo Stato dovrebbe chiedere di incassare soldi…a se stesso. Alitalia, insieme a Montedison, Enel, Acciaierie, Miniere e ad altre centinaia di aziende decotte, in compagnia di enti inutili ed anacronistici, tutti finanziati con soldi pubblici (!), rappresentano i granì di un rosario per gli atti di dolore e di contrizione di noi italiani. Un sistema centralizzato, imperniato intorno alle rendite politico-clientelari, piegato alle leggi della convenienza di coloro che le amministrano invece che alle leggi del mercato di concorrenza. Vuoti a perdere che ormai riversano sui contribuenti, ancorché in piccole dosi pro capite, perdite e disservizi. Nessuno se ne lamenta, nessuno usa il metro del controllo pubblico, se non la Corte dei Conti, oberata di lavoro e che spreca il proprio tempo ad inseguire le piccole malefatte degli amministratori locali. Basterebbe una semplice verifica tra costi di produzione ed efficienza per far saltare il banco. Tuttavia non conviene essendo pochi quelli che giudicano la bontà del governo per tali aspetti, ritenuti ormai inevitabili come una malattia esantematica in un bambino. Fa gioco la rarefazione se non la mancanza dell’etica pubblica, sostituita dalla visione angusta della tutela degli interessi delle mille categorie di lavoro. Queste ultime sostenute dalle consorterie sindacali, prima tra tutte quelle della scuola, con oltre una decina di sigle; e poi: quelle del Ministero dei Beni Ambientali che fa dei custodi e degli addetti ai lavori un ceto incontrollabile; quelle del pubblico impiego.

Blocchi ormai fuori dal rispetto delle politiche di bilancio statale. Eppure questo fiume di denaro non basta a soddisfare le richieste di diritti da rivendicare, molti dei quali insorgenti da sentenze emesse da quei palazzoni politicizzati che, nel frattempo, sono diventati i Tribunali Amministrativi Regionali. Il tutto in una nazione, la nostra, nella quale non bastano le norme del codice civile per disciplinare la materia ed i contenziosi. Abbiamo bisogno di una legislazione speciale, a partire del diritto amministrativo, per regolare il rapporto tra Stato e cittadini, ritenuti spesso “cosa a parte”, semmai sudditi e quindi, in quanto tali, bisognevoli di tutele difensive che trovano accoglienza nelle sentenze del giudice amministrativo oltre che nei mille meandri delle associazioni di categoria e dei sindacati “fai da te”. Una parcellizzazione rivendicativa che si trasforma, peraltro, in un’eterna lotta nella quale sopravvivono oppure periscono, i diritti dei singoli insieme con quelli delle istituzioni che dovrebbero tutelarli ed al tempo stesso amministrarli. Non c’è stato governo che, all’atto dell’insediamento, non abbia indicato nel proprio programma, la riforma del pubblico impiego, quella del fisco, la lotta all’evasione fiscale, il risanamento della finanza pubblica. E tuttavia la fenomenologia dei paradossi e degli sprechi continua nella sua folle recrudescenza allargando la forbice tra amministratori ed amministrati, colpevoli anche questi di utilizzare il voto per i propri interessi.

Insomma nel “cielo dipinto di blu” sopra lo Stivale si continua a volare su di un mare di debiti e di guai. Volare, oh, oh…