
Un politico ed economista del secolo scorso, uomo di punta del partito repubblicano, Ugo La Malfa, soleva ripetere che in politica o si sceglie per schieramento o per contenuti. Una sintesi mirabile di quali fossero le strade che si paravano innanzi ai partiti nel tempo in cui movimenti e schieramenti rispondevano ai dettami ed alle caratteristiche previste dalla Costituzione. Certo era il periodo in cui la partitocrazia non aveva ancora corroso l’essenza stessa delle forze politiche italiane. Un’epoca in cui i partiti ospitavano (e garantivano) il dibattito e la democrazia decisionale, formavano la dirigenza selezionandola tra quanti mostravano di possedere capacità culturali e seguito (in termini di voti) nelle ricorrenti stagioni congressuali così come previsto dagli statuti adottati. Ogni partito aveva, allora, come bussola, la propria scala di valori e la storia pregressa con la quale, dal dopoguerra in poi, si era cimentato. I leader erano perlopiù uomini di cultura, spesso provenienti dalle cattedre universitarie oppure da una militanza integerrima che magari avevano pagato con l’esilio oppure col carcere durante la dittatura.
Insomma: il confronto, ancorché acceso, aspro ed ideologico, era di livello altissimo con le forze politiche che svolgevano egregiamente il compito loro assegnato, agendo da selettori di una “nomenclatura” che, qualora chiamata a governare, conosceva sia le regole del gioco sia il solco nel quale, coerentemente, indirizzato il proprio agire politico. Ad ogni crisi di governo oppure in occasione di organigrammi congressuali, quei dirigenti operavano nell’ambito dei loro valori di riferimento oppure, per dirla alla La Malfa, “per schieramento”, in antinomia con quei partiti che coltivavano idealità e programmi inconciliabili con i propri. Una scelta che presupponeva una valutazione di assenza di progetti e di visione sociale. Tale fu per esempio la stagione del “pentapartito” che associava forze moderate cattoliche e laico socialiste lasciando fuori i nostalgici del Msi-Dn ed il partito comunista. A loro volta i partiti di governo ed il Pci, accomunati dai valori dell’anti Fascismo e della Resistenza, s’inventarono la formula dell’arco costituzionale per tenere a debita distanza le forze della destra. Un “arco” che si reggeva sui contenuti (politici e storici) della lotta al nazifascismo, salvo poi scomporsi sulla base di una diversa visione dello Stato, dell’economia e della società rispetto al credo marxista. Tuttavia la dialettica restava salva nei due rami del Parlamento. Ebbene: innanzi a questo retaggio di civiltà, sono pochi, oggi, i riscontri. Le scelte che vengono prese? Appaiono mutevoli e spesso estemporanee, legate alla convenienza del momento. Lo stesso ceto politico si mostra scadente ed impreparato accentuando, con questo, ulteriormente l’impossibilità di comporre un paradigma tra passato e presente. Come se non bastasse, la mutevolezza delle posizioni, che oggi i simulacri dei partiti assumono, rende finanche impossibile poter giudicare se tali scelte siano dettate da contenuti oppure da schieramenti. Un esempio di scuola viene dalle metamorfosi cui è andato incontro il Movimento 5 stelle la cui collocazione, in termini di contenuti e visione, è apparsa sempre caotica e misteriosa. Non a caso nella passata legislatura abbiamo avuto ben tre governi, a trazione pentastellata, diversi, di cui i primi due, pur avendo lo stesso premier, di segno diametralmente opposto (il primo con la Lega, il secondo con il Pd).
E che dire del travaglio dei dem “vittima”, negli ultimi due lustri, di ben due scissioni (Bersani e Renzi), e tuttora alle prese, tra litigi regolamentari, con le primarie (metà telematiche con voto da remoto per anziani e non autosufficienti, il resto ai gazebo per il primo che si ferma a votare) per il congresso? Concorrenti in pectore: Schlein, Bonaccini e De Micheli. La prima con un programma d’antan fondato su statalismo e socialismo, che prevede alta tassazione e redistribuzione della ricchezza (altrui), per la serie: a sinistra del partito comunista cinese.
Il secondo, governatore della regione Emilia Romagna, con la stessa solfa ma con la variante pragmatica e la bonomìa del tratto umano. La terza, infine, quale espressione dell’ala moderata dirigente di estrazione cattolica e pseudo liberale ma in sostanza sempre catto-statalista. Insomma: niente di nuovo sotto il sole del Nazareno. E con questo vecchio armamentario costoro vorrebbero risolvere i problemi di un partito da venti anni si agita in mezzo al guado, tra liberalismo e socialismo, tra Stato e Mercato, tra vecchie burocrazie e modernità? Se questo sarà l’ultimo tratto percorso dal socialismo, c’è da ritenere che il fiume sia ormai giunto alla sua foce.